Solitamente i buoni propositi si decidono a inizio anno, ma spesso succede che all’inizio si parta convinti e poi ci si dimentichi delle promesse fatte a se stessi. Oggi, vogliamo consigliarvi 5 propositi da tenere a mente ed applicare per migliorare la vita in ufficio, ma non solo.
Mantenere un rapporto sereno con i colleghi e con il proprio lavoro in ufficio ha, ovviamente, riscontri positivi anche sulla vita al di fuori dell’ambiente lavorativo e sulla propria salute. Questo risultato viene influenzato anche dal grado di soddisfazione personale e dai successi lavorativi raggiunti, oltre che dalla positività dell’ambiente in cui si lavora.
Per fare il primo passo verso il traguardo ottimale, ecco gli step da applicare giornalmente così da farli diventare, a poco a poco, ferree regole personali.
Procrastinare la lista di cose da fare è un classico errore che commettiamo tutti, chi più, chi meno. A chi non è capitato di programmare una dieta, un abbonamento in palestra per poi rinviarlo in data da destinarsi?! State tranquilli, è normale.
Quello che possiamo fare per smuovere la nostra mente all’azione è cambiare i tempi verbali con cui parliamo a noi stessi passando da tempi futuri, condizionali al presente, così da ordinare a noi stessi quello che dobbiamo fare: “ora faccio…, ora decido…, ora dico…”.
Sembra una banalità senza nessuna conseguenza concreta, ma in realtà è uno dei tanti trucchi comunicativi che “imbrogliano” la nostra mente. Così, semplicemente usando un tempo verbale presente quando parliamo a noi stessi (lo facciamo sempre nella nostra testa), si otterranno risultati migliori. Provare per credere.
…ovvero: mai dare per scontato le soluzioni possibili a un determinato problema. Noi tendiamo a risolvere i problemi che ci vengono presentati in modo piuttosto impulsivo. Il processo si svolge in poche fasi: conoscenza del problema, decisione della soluzione, messa in atto. Tutto questo avviene in tempi troppo ristretti e si finisce per applicare la soluzione conosciuta e non quella funzionale per quel problema.
Soprattutto nella vita in ufficio, è importante analizzare le sfide a mente fredda e mantenere separati i momenti di mappatura-valutazione (attraverso raccolta di dati e informazioni che vanno aggregati e interpretati) e di azione, in cui si va ad applicare la soluzione studiata.
Risulta fondamentale muoversi con questi passi poiché agire senza avere un piano efficace vanifica lo sforzo fatto, invece agire mentre ancora si pensa porta ad applicare la soluzione conosciuta, non dà un risultato ottimale e il rischio di sbaglio è alto.
Un concetto già noto alla PNL (Programmazione Neuro Linguistica) e prima ancora al filosofo polacco Alfred Korzybski, con la teoria della General Semantic, era che la nostra percezione della realtà viene influenzata dai concetti, ovvero parole, con cui la descriviamo (secondo l’assioma “la mappa non è il territorio” del filosofo). Tutto questo significa che utilizzare un termine piuttosto che un altro cambia la nostra percezione dell’oggetto in questione. Chiamare un problema “sfida”, “progetto” pone la nostra mente in una predisposizione differente. Con il termine “problema” si prova un senso di impotenza, di resistenza, di maggiore stress. Le parole “sfida” e “progetto”, invece, stimolano l’interesse, l’azione.
La stessa cosa funziona per le comunicazioni da dare ai colleghi, ai clienti, nelle riunioni, nelle trattative, in qualunque ambito: utilizzare il termine più efficace al contesto e allo scopo garantisce risultati.
Degli esempi applicati possono essere: utilizzare “successo parziale” al posto di “fallimento”, “giornata impegnativa” al posto di “giornata terribile” e così via.
Utilizzare questo trucco comunicativo nei rapporti con i clienti quando si tratta di vendite, acquisizioni, trattative, va sempre applicato con senso etico: lo scopo di questa tecnica non è distorcere la realtà e modificarla, ma dare la percezione della realtà coerente con il contesto.
Quante volte l’abbiamo sentito dire? Sappiamo davvero applicarlo?
Tutti i progettisti, scienziati, ricercatori, utilizzano il modello applicativo chiamato T.O.T.E.: TEST > OPERATION > TEST > EXIT.
Il modello prevede una fase iniziale di raccolta delle informazioni per avere chiaro il punto di partenza, per poi stabilire un piano di azione (operation) che dovrebbe portare all’obiettivo finale. A queste due fasi segue una verifica (test) che può essere positiva (exit) o negativa. Se la fase di verifica è positiva si è raggiunto l’obiettivo finale e il processo di considera concluso con successo; in caso contrario si dovà tornare indietro, stabilire un nuovo piano di azione e verificare nuovamente finchè non si raggiunge il risultato desiderato.
In questo modo operano scienziati, medici, progettisti, designer e tante altre figure professionali.
Grazie a questo procedimento si impara dagli errori e li si rende produttivi: questi non vanno considerati come fallimenti ma come elementi determinanti per arrivare al successo, esperienza pregressa in un processo maggiore.
Sfruttarli in questo modo significa renderli fattori positivi e ciò contribuisce a mantenere un approccio generale al progetto più efficace.
Per essere produttivi ed efficaci al 100% è fondamentale saper gestire in modo perfetto gli obiettivi e le priorità. Per evitare di dare precedenza a lavori di minor importanza bisogna saper programmare e pianificare le attività secondo criteri di importanza e urgenza.
Consigliamo di definire gli obiettivi secondo le caratteristiche riassunte nell’acronimo S.M.A.R.T.: un vero obiettivo deve essere SPECIFICO e non generico, MISURABILE (in termini quantitativi), ACCESSIBILE (cioè che dipende da noi in prima persona), REALISTICO (raggiungibile con le risorse a disposizione), TEMPORIZZATO (con una scadenza temporanea).
Per definire le priorità è necessaria una valutazione delle conseguenze del fare o non fare una determinata attività. Se si cerca di definire i lavori per importanza la questione diventa impossibile, poiché ogni attività risulta urgente e prioritaria; è consigliabile quindi aggirare il problema e concentrarsi sulle conseguenze delle singole attività, tenendo a mente la possibilità di delegare dove è possibile.
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